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La Kabbalah Egizia

Cos'è  la Kabbalah Egizia ?

La cosiddetta Kabbalah Egizia può essere definita come l’insieme dei principi di ordine, numero, linguaggio e struttura che caratterizzano la sapienza religiosa e filosofica dell’antico Egitto e che, pur non costituendo un sistema unificato paragonabile alla successiva Kabbalah ebraica, presentano elementi metodologici analoghi legati alla classificazione delle forze, alla concezione dell’universo come processo regolato e alla funzione dell’uomo come punto di intersezione tra dimensioni diverse. La denominazione moderna “Kabbalah Egizia” non indica un corpus testuale autonomo emerso dai templi ma una sintesi interpretativa che permette di leggere la tradizione egizia attraverso categorie tecniche che la avvicinano ad altri sistemi sapienzali dell’antichità, in particolare quelli mesopotamici, semitici e greco-alessandrini.

 

L’Egitto antico sviluppa una struttura di pensiero in cui la realtà è descritta mediante principi costanti e verificabili. La nozione di Maat non rappresenta un’idea astratta di giustizia ma una forma di ordine oggettivo che regola il cosmo, gli eventi sociali e la condotta individuale. Maat non è simbolo decorativo ma criterio tecnico attraverso cui gli Egizi valutavano l’equilibrio delle situazioni e la coerenza tra azione, intenzione e conseguenza. Questa impostazione costituisce il nucleo della futura lettura “kabbalistica” del sistema egizio, poiché introduce un modo di pensare in cui l’universo è interpretabile mediante relazioni, proporzioni e funzioni. L’ordine non è imposto dall’esterno ma scoperto attraverso osservazione e analisi.

La cosmogonia egizia, nelle sue diverse versioni locali, non presenta narrazioni mitiche nel senso poetico attribuito dalla modernità ma descrive processi di differenziazione delle forze originarie. Il concetto di Nun, l’oceano indifferenziato, introduce un principio che non è materia ma potenzialità; l’emergere della Collina Primordiale indica l’inizio della forma; Atum, Ptah, Amon e le altre figure creatrici rappresentano funzioni attraverso cui la potenzialità si articola in strutture. L’analogia con i principi kezèrico-sefiròtici non deriva da una relazione storica diretta ma dal fatto che entrambe le tradizioni riconoscono che la realtà si sviluppa per gradi successivi di differenziazione, ciascuno con caratteristiche specifiche. Il pantheon non è un insieme disordinato di divinità ma un modo per organizzare la conoscenza dell’universo mediante nomi e funzioni precise.

La dimensione linguistica della sapienza egizia poggia sui segni geroglifici, che non sono alfabeti in senso stretto ma unità concettuali capaci di esprimere oggetti, valori fonetici e principi astratti. Un singolo segno può descrivere un’azione, una funzione o un processo. Questa struttura tripartita rende il linguaggio geroglifico un sistema operativo piuttosto che uno strumento narrativo. La “lettura kabbalistica” dei geroglifici deriva dal fatto che ogni segno può essere analizzato su più livelli senza ricorrere a interpretazioni simboliche arbitrarie. Il segno produce significato attraverso la sua forma, il suo suono e il suo valore concettuale, secondo una logica simile a quella che caratterizza le analisi successive dell’alfabeto ebraico. L’integrazione tra suono, idea e immagine costituisce il punto di contatto metodologico con la tradizione kabbalistica.

L’Egitto utilizza inoltre un sistema numerico che, sebbene non astratto come quello mesopotamico, impiega valori costanti per rappresentare funzioni cosmiche. Il numero due indica la dualità necessaria affinché la forma possa manifestarsi; il tre designa l’ordine completo di un processo; il quattro rappresenta stabilità e struttura; il sette descrive cicli di realizzazione; il dodici organizza lo spazio e il tempo. Questi numeri non vengono impiegati come strumenti magici ma come parametri classificatori. Le strutture templari, le formule liturgiche e i calendari sacerdotali integrano tali numerazioni come criteri oggettivi anziché elementi ornamentali. L’approccio numerico egizio, pur diverso da quello mesopotamico o ebraico, risponde alla stessa esigenza di stabilire una relazione verificabile tra fenomeni naturali e processi umani.

 

Il rapporto tra uomo e cosmo nella sapienza egizia si fonda sull’idea che l’individuo debba mantenere coerenza con l’ordine generale per preservare stabilità fisica, sociale e mentale. Le funzioni del corpo, le attività politiche, i riti del tempio e la concezione della morte sono regolati dagli stessi principi. Il Ka non è un’entità spirituale autonoma ma la componente energetica che permette all’individuo di agire; il Ba rappresenta la capacità di movimento e relazione; l’Akh indica la condizione di funzionamento integrato che si realizza solo quando gli elementi dell’individuo sono coordinati. Questa struttura costituisce una tipologia di analisi psicologica che non si basa su simboli ma su osservazione e organizzazione delle funzioni. In questo senso, la cosiddetta Kabbalah Egizia descrive un metodo che permette di comprendere la mente attraverso categorie stabili.

La ritualità egizia non consiste in atti magici ma in procedure tecniche necessarie per mantenere l’ordine. Il rito garantisce continuità, coordina le attività sociali, stabilizza l’attenzione e preserva la memoria dei principi fondamentali. La ripetizione non è formalismo ma strumento di allineamento mentale. Le formule non operano come incantesimi ma come sequenze linguistiche che chiarificano l’intenzione e concentrano l’attenzione. Tale approccio è coerente con le metodologie kabbalistiche successive, nelle quali la parola non ha potere intrinseco ma funzione regolatrice della mente e del comportamento.

 

Il contributo della sapienza egizia alle tradizioni posteriori non deriva da trasmissioni dirette e non documentate ma dalla presenza di strutture concettuali che rispondono a esigenze comuni. La necessità di classificare l’universo, comprendere i processi interiori, mantenere ordine e coordinare la condotta attraverso linguaggio e numero costituisce un filo che collega le principali culture dell’antichità. La Kabbalah Egizia rappresenta quindi un modello di lettura dell’Egitto antico come sistema analitico, non come insieme di simboli misterici arbitrari. Il suo valore consiste nella capacità di offrire un quadro coerente nel quale la realtà può essere interpretata senza ridurla a narrazioni fantastiche o a speculazioni prive di fondamento.

Nella sua forma più rigorosa la Kabbalah Egizia è una disciplina che unisce osservazione, sistemazione e responsabilità personale. Non richiede credenze ma comprensione delle strutture. Non ricerca visioni ma analisi. Non promette rivelazioni ma contatto diretto con criteri di ordine. Operando su linguaggio, simbolo e funzione, essa fornisce strumenti che permettono all’individuo di mantenere stabilità mentale, di comprendere meglio i fenomeni che lo riguardano e di orientare la propria vita secondo un metodo coerente e verificabile. La sua utilità non deriva da elementi mistici sovrapposti in epoca moderna ma dalla solidità del suo approccio.

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Contatto: Stefano Edoardo Erario  WhatsApp Cell: +39 351 9341188; stefanohedoerario@gmail.com;

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